Cos’è che gli inglesi amano più di Shakespeare? Rendiamo tutto più semplice e rimaniamo nell’ambito della letteratura.
Il vincitore non può essere altri che Sherlock Holmes, il geniale investigatore nato dall’abile penna di Doyle che dalla sua prima pubblicazione non ha mai smesso di avere un posto nel cuore degli inglesi…e non solo. Ed ora permettiamoci un piccolo salto in avanti.
Immaginate di voler raccontare ancora una volta le imprese del nostro amatissimo investigatore e di volerlo fare in modo diverso, nuovo. Su di lui è stato già fatto molto ed è quasi impossibile realizzare una trasposizione senza che l’esigente popolo inglese faccia un confronto.
Eppure una soluzione esiste, sebbene molto azzardata. Potrebbe essere una novità prendere Holmes e riscriverlo muovendolo nella Londra attuale, con tutto quello che il ventunesimo secolo comporta. Questa è stata la linea di pensiero adottata dagli sceneggiatori Mark Gatiss e Steven Moffat (entrambi conosciuti per la sceneggiatura di Doctor Who) quando hanno deciso di dare vita alla serie tv Sherlock, del quale sono state attualmente realizzate tre stagioni, per un totale di soli dodici episodi.
Ogni episodio, della durata di circa 90 minuti, racchiude un romanzo o un racconto, rendendolo a tutti gli effetti un film per la tv. Ma anche una serie dal successo piuttosto controverso.
I personaggi si discostano moltissimo da quelli originali e i romanzi sono stati rimaneggiati a seconda delle necessità che l’adattamento presentava di volta in volta. Ma procediamo per ordine e partiamo dai protagonisti. Non che ci sia bisogno di fare le presentazioni con Sherlock Holmes e con il suo fidato coinquilino John Watson.
Iniziamo dal più semplice ovviamente. Il nuovo John (Martin Freeman aka Bilbo Baggins ne Lo Hobbit) ricalca piuttosto bene il personaggio originale: un medico militare sempre disponibile e di buon cuore, di gran cultura e intelligenza, nonostante venga spesso adombrato dal genio di Holmes. Un compagno sempre molto impressionato dalle doti di Sherlock e ben disposto a tollerarne le mille stranezze.
Tuttavia è la caratterizzazione di Holmes (Benedict Cumberbatch alias Kahn in Star Trek: Into Darkness) a provocare grandi discussioni. Molto giovane e affetto da una particolare forma di sociopatia (come ama precisare quando gli viene dato dello psicopatico); più arrogante e spesso anche più scortese dell’originale, non trova effettive somiglianze con il soggetto descritto da Doyle; sembra solo condividerne il nome, il coinquilino e l’appartamento. È un personaggio, insomma, che ha fatto storcere molti nasi e sollevato diverse polemiche
Le stesse obiezioni si possono fare per quanto riguarda i personaggi secondari quali Lestrade, Irene Adler e lo stesso Moriarty, che abbandona addirittura il titolo di professore.
Una breve parentesi va aperta anche sulla sceneggiatura che spesso hanno in comune con la storia da cui sono tratti solamente il titolo e qualche vago riferimento; succede quindi di avere un serial killer che avvelena le sue vittime in Uno Studio in Rosso al posto dell’americano che cerca vendetta per un vecchio torto subito.
È stato difficile accettare questi immensi cambiamenti nei personaggi e nelle loro vicende; un senso di straniamento che però ha lasciato ben presto il posto alla consapevolezza che l’intento degli sceneggiatori era, probabilmente, proprio quello di stupire e non di rimanere fedeli agli originali. Gatiss e Moffat non volevano realizzare una vera e propria trasposizione, per i problemi evidenti elencati all’inizio, ma rendere omaggio al secolare investigatore creando un personaggio che fosse brillante quanto lui ma completamente sopra le righe e viziato dai difetti più comuni del ventunesimo secolo.
Come per la stragrande maggioranza delle trasposizioni, comunque, basta avere i punti di riferimento giusti e sapersi divincolare da quella voce interiore che esige una costante aderenza ai prodotti originali, per poter apprezzare anche un rifacimento eccentrico come Sherlock.
Ciao sono Ivan
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