DEATH STRANDING: Una metafora visiva del mondo simile al nostro

Il mondo di Death Stranding è un posto orribile ma solo se non hai legami.

Annunciato quattro anni fa all’E3 di Los Angeles finalmente è disponible dall’8 novembre, questo nuovo titolo segna il ritorno del padre di Metal Gear.

Il mondo di Death Stranding è di poco successivo ai nostri tempi, ritrovatosi senza nessuna via di comunicazione, un mondo in cui ogni connessione è saltata e tutto è finito in rovina, ognuno separato da tutto il resto. Le nazioni storiche sono perdute per colpa di un evento non bene conosciuto, un evento simile ad un esplosione atomica, le città blindate, prive di vita e movimento.

Ogni singolo individuo è schiacciato dall’unico legame rimasto fra i vivi: l’aldilà, luogo che nel mondo di Death Stranding non sta esattamente dove noi tutti immaginiamo. Si presenta in questo mondo, sotto forma di entità nere, chiamate Ca, e puntualmente l’entità non perde occasione di mostrarsi in tutta la sua forza, per eliminare chi va oltre le mura urbane, così da rendere “eroi” chi lo faccia per garantire uno scambio di risorse fra le persone: ovvero i corrieri del dopo apocalisse.
Sam Porter Bridges, Norman Reedus è il corriere protagonista di questa nuova avventura.

Sam è un “riemerso”, colui che può tornare in vita nel mondo di Death Stranding.
Sam è colui che ci porterà a percorrere il nuovo mondo ormai spiaggiato alla deriva del nulla… per recapitare pacchi e materiali. In Death Stranding l’eroe è un semplice ma allo stesso tempo particolare “corriere” iper-tecnologico con moto a pannelli solari, esoscheletri, radar e sensori.

Insieme ai pacchi Sam ha la missione di riconnettere il mondo sotto l’ordine dell’Uca, la nuova Unione delle città americane.
La priorità di Kojima non è quella di mettere a suo agio il giocatore anzi già nella prima fase, piú si procede più aumenta il disorientamento.

La simbologia del gioco è assai complessa fin dal primo secondo e il tutto ha inizio senza una spiegazione.

Con parti narrative come un puzzle a pezzi come il mondo in cui viviamo Death Stranding non prova ad acchiappare, non c’è proprio nulla per farvelo piacere a tutti i costi.
L’attività principale del giocatore in Death Stranding è connettere persone rischiando di morire.
Solo a tratti si ha la piacevole impressione di non aver perso l’orientamento e si rompe il fattore solitudine, quando gli altri giocatori online si manifestano lasciando cartelli, risorse e indicazioni preziose durante il nostro viaggio.

Nessuno pero può vederci, come a noi è impossibile scorgerli ma capiamo subito che è anche grazie a loro che potremmo affrontare i pericoli in modo meno cruciale.

Il resto del gioco è un esperienza visiva, qualcosa di potente e distintivo con tutto ciò che conosciamo. In Death Stranding c’è tutto… c’è arte, energia e cultura.
“In un file ritrovato si fa un esplicito riferimento a chi, nel passato, per paura aveva pensato che i muri e l’isolamento potessero garantire la sicurezza”.

Death Stranding è la più bella rappresentazione del bisogno di condivisione vista in un’avventura single player.

E’ tutto come se questa nuova storia volesse ricordarci quanto il gaming, per molti un isolamento digitale, possa portare il messaggio opposto, infatti Kojima ha addirittura coniato un nuovo genere, il “Social Strand System“.
Questo è Death Stranding, una una sorta di metafora visiva del mondo a pezzi che somiglia al nostro.

Un invito e un consiglio a far di tutto per tenere insieme tutti i pezzi in un futuro che ha bisogno di legami per stare in piedi.

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